29 gennaio 2017

The Bats - The Deep Set [ALBUM Review]

Daddy's Highway, il primo album dei Bats, uscì per la Flying Nun Records esattamente trent'anni fa, in un periodo - quello a cavallo tra '80 e primi '90 - che per l'indie pop è stato una sorta età dell'oro. Da quel formbidabile incubatore di talenti che è stata la label di Dunedin, hanno mosso i primi passi tante band che hanno costruito la scena neozelandese e che da lì si sono fatte conoscere in tutto il mondo, nonostante la collocazione geografica letteralmente dall'altra parte del mondo. 
The Bats, senza ombra di dubbio, sono sempre stati i migliori, e non c'è alcuno degli otto dischi dati alle stampe nella loro carriera che sia meno che bello, mantenendo inalterato uno stile di guitar pop fortemente riconoscibile, caratterizzato da una programmatica semplicità, da una naturale immediatezza melodica, da una gentilezza di tocco di lontana matrice folk, da un'ironia sorridente capace di trasformare ogni pezzo in pura leggerezza.
The Deep Set, nono album dei quattro di Christchurch, arriva a sei anni dall'elegantissimo precedente Free All The Monsters (che a mio parere era addirittura il loro lavoro migliore), ed arriva quasi inaspettato, viste le pause bibliche che i Bats si prendono tra un lavoro e l'altro. 
Già da qualche mese avevamo potuto ascoltare il singolo Antlers, che è un impeccabile saggio di Dunedin sound, ed era chiaro che la classe sopraffina di Robert Scott e compagni era intatta. Ma personalmente non credevo possibile che i neozelandesi riuscissero a mettere insieme dodici canzoni di tale livello, tanto da superarsi ancora una volta, come se da quelle parti avessero scoperto la pozione dell'eterna giovinezza indie pop. 
Dall'iniziale Rooftops, passando attraverso una serie di episodi di uguale piacevolezza, i Bats danno a tutti una seria lezione di come si scrivono e si costruiscono grandi canzoni: strofe che creano attesa con un semplice strum di chitarra, una ritmica in quattro quarti e una linea scabra; poi ritornelli in cui tutto si apre e si colora di cori ed elettricità; e code strumentali che profumano della gioia di suonare insieme. Una piccola meraviglia dopo l'altra: Looking For Sunshine, Rocks And Pillars, Walking Man..., senza soluzione di continuità in un'antologia dalla fortissima personalità espressiva e apparentemente senza tempo. 
Imperdibile!


 

24 gennaio 2017

Squirrel Flower - Contact Sports [EP Review]

In questo mese di gennaio ho davvero faticato a trovare dischi nuovi di cui valesse la pena spendere più di qualche parola. Ho ascoltato alcune cose interessanti (l'album di debutto dei Nearr, per esempio, per stare nell'ambito di una decorosa nostalgia C86), ed altre semplicemente noiose. 
Fino a quando non mi sono imbattuto in questo EP di Squirrel Flower che, finalmente, ha fatto scoccare la scintilla, pur non essendo propriamente indie pop.
Diciamolo subito: Ella Williams, la musicista attorno a cui è costruita la band, ha una delle voci più belle che abbia mai sentito. Sensuale e misurata, educatissima ma al contempo naturale, perfettamente rotonda ed al contempo colorata da una sorta di meditata introversione. 
Le sei canzoni di Contact Sports sembrano promanare quasi magicamente dalla voce di Ella ed adattarsi come abiti ad essa. Musicalmente siamo dalle parti di un cantautorato di essenziale densità emotiva, che potrebbe ricordare il lirismo notturno di una Sharon Van Etten (Conditions), la rabbia controllata di una Mitski (Not You Prey) o l'amara dolcezza di una Lera Lynn (Heavy). Non c'è molto di più della voce di Ella e di una chitarra satura di elettricità nelle canzoni di Squirrel Flower, e pure con questa economia di mezzi, una superficie sonora apparentemente quieta viene costantemente increspata con una poderosa forza espressiva. 

18 gennaio 2017

Slowdive - Star Roving [SINGLE Review]

La biografia degli Slowdive per i loro irriducibili fan (tra i quali il sottoscritto) sa di leggenda: emersi dal magma post punk dei tardi Ottanta, insieme ad un altro pugno di talentuosi grupi inglesi hanno dato vita al movimento shoegazer, pubblicando solo tre album formidabili prima di sciogliersi, dopo pochissimi anni di ispiratissima attività. Poi, all'improvviso, tre quinti della band sono riapparsi in una reincarnazione folk-pop, Mojave3, che sembrava aver distillato in modo prodigioso il miele elettrico della formazione originaria trasformandolo in nettare acustico lungo cinque album di cui almeno tre (i primi) sono capolavori. Qualche abbozzo di carriera solista riempie gli anni che seguono, a conferma soprattutto delle doti cantuautorali del leader storico Neil Halstead. Nel 2014 l'operazione nostalgia: venti show con la formazione originale degli Slowdive, a rimettere sul palco le canzoni di Souvlaki e Pygmalion in un tour estivo. Niente di originale, certo. Almeno fino a quello che stiamo ascoltando oggi.
Star Roving, la prima nuova  canzone degli Slowdive in 22 anni. 
Halstead, Rachel Goswell e compagni oggi veleggiano verso i cinquant'anni, ma il pezzo che la band di Reading ci regala oggi sembra idealmente uscito da una session del '91 per Just For A Day. C'è tutto degli Slowdive che abbiamo amato: l'eterea semplicità, la morbida energia delle chitarre che si sovrappongono, le distanze che si allungano senza abbandonare i confini della forma canzone, la voce di velluto di Neil che adesso ci sembra così consueta e confortante. 
Tutto così bello e perfetto che un po' sembra anche a me di essere più giovane di vent'anni...
Pare - ma non c'è una conferma ufficiale - che il 2017 verrà alla luce un intero album. Aspettiamo con le dita incrociate.


12 gennaio 2017

Dripping Wet - Friends Forever [EP Review]

Al grido (sottovoce) di "bedroom pop rules the world", i ragazzi della Boring Productions di Shenzhen - ne abbiamo parlato per un paio di buone uscite l'anno passato - continuano nella loro programmatica e un po' sotterranea opera di celebrazione dell'estetica twee. Spesso pubblicando artisti cinesi innamorati del Sarah Records sound, e talvolta, come in questo caso, mettendo insieme le uscite precedenti di una band, i Dripping Wet, che sono niente meno che texani. 
L'EP che ne è venuto fuori, intitolato Friends Forever, colleziona le sette canzoni finora pubblicate dai cinque di Denton e, se non conoscevate - come me - i Dripping Wet, vi assicurerà 23 minuti di indie pop di scintillante livello, nella sua totale e spontanea semplicità da cameretta. 
Il guitar pop dei texani - chitarre jangly d'ordinanza, armonie vocali basilari e piacevoli (gli sha la la la uh sono un ingrediente irrinunciabile), ritmiche placide che al momento giusto si fanno più vivaci e melodie zuccherate al punto giusto - è quanto di più limpido e lineare possa desiderare un appassionato del genere. C'è insomma, per farla breve, quell'amore per la forma canzone che è il tratto fondamentale dei bravi artigiani indie pop: prendete She's Not Mine o Everything Dies e provate se al secondo ascolto già non vi si sono appiccicate addosso con i loro giri di miele.

06 gennaio 2017

The Crystal Furs - The Crystal Furs [ALBUM Review]

Viene spontaneo, mentre si ascoltano le canzoni dell'album d'esordio dei Crystal Furs, immaginare i tre musicisti nelle strade caliginose della Bristol dell'era Sarah Records, o nella Glasgow dei Pastels e dei Belle And Sebastian. E invece Kevin Buchanan e i suoi due compagni d'avventura vengono da un posto apparentemente improbabile per un indie pop così colto e raffinato, Fort Worth in Texas. Ma in fondo da sempre l'indie pop fiorisce in provincia, quindi la meraviglia non è così giustificata.
Già attivo da anni con una band, Pentacon Six, che seguivo con interesse su bandcamp, Buchanan ha affidato alla voce di Amanda Hand le sue nuove canzoni e ha messo in piedi The Crystal Furs come progetto che non nasconde le proprie ambizioni.
I nove pezzi contenuti nel debutto discografico dei texani sono in effetti una consapevole rincorsa alla perfect pop song, che passa attraverso ritmi gioiosamente uptempo, chitarre jangly, un organo profumato di sixties e melodie sempre ariose. 
Già la torrenziale infilata dei primi tre pezzi (Quit You, Weightless, Miss Hughes) è una salutare sferzata di buonumore, ma è con Summer's Over e World Of Tomorrow che i Furs si avvicinano con forza e spontaneità a quel modello Heavenly che sembra a tratti palesarsi in modo esplicito tra un episodio e l'altro. Il tutto all'insegna di quello spirito artigianale e DIY che ci si aspetta da una band del genere. 
Da non perdere per iniziare con brio il 2017.