05 aprile 2017

Jay Som - Everybody Works [ALBUM Review]

C'era da tempo una certa attesa nei confronti del vero album di debutto di Melina Duterte, in arte Jay Som. La raccolta di singoli, canzoni sparse, demo uscita l'anno scorso con il titolo Turn Into si era già fatta debitamente notare per una fortunata concentrazione di buone idee e per un songwriting intelligente e originale.
Everybody Works, il debutto di cui parlavamo, è oggi una solida realtà. E' il disco di cui tutta la stampa indie americana sta parlando e che miete recensioni entusiastiche una dopo l'altra, senza soluzione di continuità (un po' come accadde due anni fa per Waxahatchee). 
Il che non può che farci doppiamente piacere, considerando che la Duterte fin dagli inizi della sua carriera si muove con forte personalità nei meandri di un genere, chiamiamolo dream pop, che è uno dei fari di questo blog. Dream pop, intendiamoci bene, che però ha poco a che fare con l'energia melodica e muscolare di band come i Pains Of Beeinf Pure At Heart, e che si colloca invece su un lato più sperimentale, obliquo e, in una parola, eclettico.
Non diversamente da quanto di buono ha fatto l'anno passato Japanese Breakfast, la multistrumentista californiana lavora su un mix fortemente emozionale di essenzialità intimistica e raffinatezza sonora, ottenuta attraverso un ammirevole equilibrio di chitarre, synth e voce, dove riverberi e leggerezza, graffi e carezze convivono nella struttura di ogni singolo pezzo. Non c'è in effetti episodio dell'album che non possieda una sua memorabile immediatezza, da The Bus Song in giù, ma al contempo resta sempre in controluce una meditabonda e atmosferica inquietudine, la stessa che invischia e rende affascinante il songwriting di artiste come Gemma Hayes o Sharon Van Etten.
Non so in definitiva se si tratti davvero di capolavoro, ma è senza dubbio uno degli album più interessanti usciti quest'anno. Da non perdere.


 

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