25 ottobre 2016

LVL UP - Return To Love [ALBUM Review]

Le prime note di Hidden Driver, il pezzo che apre il nuovo album dei LVL UP, non può non ricordare il febbrile e geniale sferragliare acustico dei mitici Neutral Milk Hotel (che sono un modello dichiarato per la band newyorkese). C'è però, nell'approccio dei LVL UP, una evidente diversità rispetto al compianto gruppo di Jeff Mangum, sebbene l'urgenza espressiva e il potenziale melodico siano davvero simili. 
Nel quartetto di New York innanzitutto vige una sorta di democrazia autoriale e vocale, per cui tre dei quattro membri scrivono e si mettono a turno davanti al microfono. Il risultato non corre però affatto il rischio della disomogeneità, raggiungendo anzi una notevole personalità e compattezza. Un po' come i mostri sacri dell'indie anni '90 (citiamo Dinosaur Jr., Pavement, Sebadoh e Buit To Spill tra gli altri), i LVL UP innestano una spiccata efficacia melodica nel cuore sfrigolante di un suono di chitarra sporco e poderoso, ottenendo - uno dopo l'altro in una successione torrenziale - una serie di episodi coinvolgenti e a tratti entusiasmanti (personalmente ascolterei Spirit Was in loop per almeno un'ora senza stancarmi). 
Al di là dello spirito lo-fi che anima il gruppo, l'ambizione di Caridi, Benton, Corbo e Rutkin è palpabile: nella costruzione non scontata delle canzoni così come nella loro durata (c'è un certo gusto per le code che si allungano), nelle liriche, nella dialettica tra acustica ed elettrica, nella cura per i cori, nella ricerca di una dimensione che stia a cavallo fra pop e indie rock. In effetti, se è vero, i LVL UP avevano deciso di sciogliersi se Return To Love non fosse uscito da semi-anonimato delle minuscole label indipendenti. La Sub Pop - niente meno - ha salvato il presente della band e probabilmente le spalancherà il futuro brillante che merita. 


 

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