06 maggio 2017

Slowdive - Slowdive [ALBUM Review]

Abbiamo già avuto modo, a proposito dell'uscita del singolo Star Roving, di parlare del ritorno degli Slowdive sulla scena. L'attesa dell'album per ogni fan della band inglese è stata lunga, e l'anticipazione dell'altro ottimo singolo Sugar For The Pill da una parte ha rafforzato l'idea che quello in uscita sarebbe stato un album memorabile e dall'altra allontanato, almeno in parte, le pur giustificate critiche di chi aveva già inserito quella degli Slowdive nella lunga lista delle tristi reunion di band sciolte da vent'anni e più. 
Ovvio che il primo pensiero è stato questo: Neil Halstead e compagni sono stati un gruppo seminale e ispiratissimo per un periodo molto breve (non più di 5 anni dal '90 al '95), hanno gettato un solido ponte fra lo shoegaze sperimentale e il dream pop a venire, dato alle stampe solo tre album, e poi si sono reincarnati in (splendidi) progetti diversi di cui pochi si sono accorti. Ha senso dopo un ventennio ritornare a quello stile, a quelle chitarre, a quelle dilatazioni, a quel tipo di sonorità? 
Slowdive, quarto album della carriera della band, ha risposto alla domanda in modo tanto sobrio quanto diretto: sì, ne vale la pena. Parlando di Star Roving avevo scritto che il tempo per i Nostri sembrava non essere passato dall'uscita di Pygmalion. In parte è vero, e in parte no. Negli otto ampi, ambiziosi e al contempo molto equilibrati episodi del disco ritroviamo indubitabilmente il tocco personale degli Slowdive: quell'approccio delicato, oscuro ma non troppo, garbatamente melodico, "classico" a suo modo, ai canoni dello shoegaze. E' lì, già dall'iniziale Slomo, che è un ingresso quasi timido ed è la cosa meno convincente del lotto. Poi, quando partono le rasoiate elettriche di Star Roving, quando esplode la ritmica matematica di Simon Scott, quando le voci di Halstead e di Rachel Goswell si mescolano nelle calde spirali delle chitarre e dei synth, allora ci si rende conto che in realtà gli Slowdive del 2017 non sono gli stessi del 1995: sono qualcosa di più profondo e consapevole. Una sensazione che prende corpo e si sviluppa attimo dopo attimo immergendosi nel torrenziale abbraccio di Don't Know Why, nella perfezione sonora e nel gioco di echi di Sugar For The Pill, negli sfrigolanti riverberi di zucchero di Everyone Knows, nel crepuscolare crescendo atmosferico di No Longer Making Time, nella vasta inquieta e complicata partitura di Go Get It e infine nello struggente romanticismo pianistico di Ashes, dove Neil e Rachel diventano un'unica creatura armonica.
In definitiva, e forse è questo il punto, non bisognerebbe nemmeno parlare di reunion. Slowdive è un album di una band che gli anni, le esperienze, la vita hanno arricchito in modo esponenziale, ma non di una band che si era davvero sciolta. E' un disco solido, squadrato, senza fronzoli, ma anche emozionante e a suo modo emotivo. Non è un omaggio ad un genere o ai tempi passati: possiede una quieta urgenza espressiva che testimonia in modo ineccepibile la caratura artistica di Halstead e compagni e che ha tanto da insegnare alle giovani band di oggi. Non è un capolavoro certo, ma è uno di quegli album con cui ti devi confrontare con calma, di cui scopri ad ogni nuovo acolto qualche dettaglio sonoro di cui non ti eri accorto prima, che finiscono sempre per sorprenderti.





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